Chi lavora nelle grandi organizzazioni e ha tentato di ottenere cambiamenti di miglioramento delle relazioni, vive la frustrazione di spendere grandi energie per raggiungere pochi risultati, che sono poi spazzati via dalle periodiche ristrutturazioni organizzative.
Non riuscendo ad ottenere i cambiamenti desiderati sul sistema, si perde fiducia in qualsiasi impresa, purtroppo si perde anche amore nel proprio lavoro, in quello che si fa, ci si sente inutili, si sviluppa col tempo un senso di impotenza che può portare al burn-out o al cinismo.
Questo non è semplicemente un danno all’impresa, lo è soprattutto verso se stessi ma possiamo smettere di farci del male.
La chiave del problema sta nel delirio di voler condizionare centinaia o migliaia di persone secondo i propri desideri. Neanche chi possiede l’azienda ha questa pretesa, infatti tutto ciò che riesce a fare è rimescolare periodicamente le carte con le suddette ristrutturazioni, sperando che nella partita successiva vada meglio.
Noi invece cosa possiamo fare?
Non possiamo e non dobbiamo cambiare il mondo, ma possiamo e dobbiamo prenderci cura di noi.
Contrariamente alle attuali tendenze di politica delle risorse umane, che pretendono il sacrificio degli interessi personali a favore di quelli collettivi, vi propongo di limitare il vostro campo di azione, immaginandovelo come un giardino di cui prendersi cura, che non deve essere più grande delle proprie forze.
Prima di proseguire farò chiarezza su alcuni possibili fraintendimenti.
L’idea di occuparsi del proprio giardino potrebbe essere interpretata come un disinteresse verso gli altri a discapito della collaborazione.
Al contrario, intendiamo evitare la dispersione delle energie per occuparci di chi è in relazione con noi, partendo dai più prossimi; se lavoriamo bene lì, poi le conseguenze arriveranno lontano.
Con i più prossimi, non intendo le persone che ci sono più simpatiche o più affini, ma quelle con le quali ci relazioniamo più intensamente e che, per scelta o per obbligo, condizionano maggiormente la nostra vita lavorativa.
Questo non significa che siamo destinati a subire, perché anche noi condizioniamo a nostra volta la loro vita, la differenza sta nel farlo inconsapevolmente o consapevolmente.
Il campo di azione mediamente gestibile non dovrebbe superare una dozzina di persone, prepariamo una lista delle 12 persone più importanti per noi, elencandole in ordine di priorità.
Il primo lavoro consiste nell’imparare a non pretendere che queste persone facciano ciò che vogliamo noi, anche se sono nostri sottoposti.
Non dobbiamo smettere di dare ordini, se questo è il nostro lavoro, dobbiamo solo smettere di pensare come bambini che credono a un mondo che si piega per magia al nostro volere, e cominciare a considerare che le cose non andranno mai secondo i nostri desideri, anche se siamo in una posizione di potere.
Le reazioni scatenate da un ordine si propagano in modo del tutto imponderabile e si sviluppano sempre diversamente da come ci aspettavamo, se ci limitiamo ad incolpare gli altri possiamo ottenere un capro espiatorio ma non ci stiamo occupando del nostro giardino, dobbiamo invece chiederci cosa possiamo fare noi e riportare la pietra di Sisifo al suo posto.
Questo è il lavoro più impegnativo che nessun altro può fare per noi, né altri possono essere fonte di motivazione, noi siamo la fonte.
Intorno a noi può esserci scompiglio ma nel nostro giardino ogni cosa è curata con instancabile attenzione, col tempo molti verranno a visitare quel luogo sempre più frequentemente, ma non è questo lo scopo della nostra opera, è solo una conseguenza.
Qui non posso andare oltre la metafora, perché si tratta di un intimo lavoro dove non valgono le ricette che troviamo sui manuali in vendita negli autogrill.
Questo conforto non posso darlo, mi spiace. Vi tocca fare tutto da soli.
massimo@manualeoperativo.com
photo by George Hodan