Tutte le consulenze organizzative efficaci, a un certo punto, proprio quando stanno raggiungendo i primi risultati, vanno in crisi.
Se invece portiamo a termine il programma nel consenso generale, applicando agevolmente i principi ortodossi della nostra disciplina, dopo un po’ tutto torna inspiegabilmente come prima, senza che nessuno però si lamenti. Come mai?
Nel change management ci si preoccupa molto delle resistenze attribuite alla cosiddetta comfort-zone, senza prestare particolare attenzione al plagio, che molto più insidiosamente ci dà l’illusione del successo mentre stiamo inesorabilmente fallendo.
Al contrario, quando cominciamo a risolvere in modo efficace i problemi per i quali ci hanno chiamato, tutti si allarmano. Perché?
Propongo alcune interpretazioni che possono aiutare molto chi, come me, si occupa del cambiamento.
Prima interpretazione: le persone amano i propri problemi.
I problemi danno infatti senso e valore alle nostre vite, una persona senza problemi ci sembra insignificante, le nostre storie stanno in piedi solo se poggiano su problemi, senza i quali crollano facendo crollare anche noi.
Sulla base di questa interpretazione dobbiamo fare molta attenzione a come maneggiamo i problemi degli altri, vanno trattati con cura, senza disprezzo, non considerandoli ostacoli ma imparando a comprendere la storia che strutturano.
Quindi non basta essere bravi tecnici, occorre diventare buoni narratori e non liquidare il problema ma raccontarlo in modo diverso, innescando la co-narrazione di una nuova storia in cui il consulente avrà una parte.
Seconda interpretazione: tutto il sistema problematico dà senso ai suoi membri e li rende indispensabili.
La riduzione dei problemi può far scattare la paura di non essere più necessari, vale anche per il consulente quando teme di diventare inutile una volta risolti tutti i problemi, ciò può condurlo a diventare complice di una tacita alleanza col cliente, per disfare di notte la tela tessuta di giorno.
Terza interpretazione: il sistema è più della somma delle sue parti.
Scomodo Aristotele e la cibernetica perché credo che l’organizzazione sia un organismo dotato di una propria volontà, non controllabile dalle singole parti.
Col tempo anche il consulente diventa parte del sistema e poiché lo sta perturbando ne subisce i tentativi di espulsione, finalizzata al mantenimento dell’omeostasi.
Il consulente, anche se non può controllare il sistema, può dotarsi di alcuni ausili che lo aiutano ad orientarsi, tra i quali è molto efficace la supervisione di un collega esterno al sistema, che non dovrà mai partecipare direttamente all’intervento ma solo osservare.
Grazie alla supervisione si riescono a monitorare i feedback del sistema, per aggiustare il tiro passo dopo passo.
Per adesso mi fermo qui, costretto a liquidare in poche righe i complessi comportamenti sociali ancora (e spero sempre) incontrollabili.
Pur occupandomi di questo, sono convinto che non ne verremo mai a capo, perché non c’è un inizio e una fine, ma un continuo flusso di processi interdipendenti nei quali dobbiamo navigare con perizia, senza mai smettere di accogliere, con la stessa curiosità di un bambino, gli imprevisti che si presentano sul lavoro come opportunità creativa per rinnovare il filo conduttore con la vita, che è l’antidoto per salvarci dall’alienazione.