Ogni consulente ha la propria carriera costellata da un buon numero di insuccessi voluti dal cliente. In tutti gli ambiti, dallo psicologico al finanziario, troviamo clienti che ci pagano per diventare autorevoli complici del loro fallimento.
I primi tempi mi infuriavo, non sopportando che il cliente mi trascinasse nella sua rovina, col rischio di macchiare indelebilmente la mia carriera, mi opponevo con tutte le forze argomentando con valide nozioni, ma tutta la mia sapienza non era in grado di battere la furbizia dei clienti, che trovavano comunque il modo di trascinarmi nel loro abisso.
Quindi cominciai a sperimentare un’altra strada.
Se la resistenza al cambiamento doveva essere il primo passo da far compiere al cliente, allora non potevo essere io il primo a smettere di fare resistenza?
In fondo, proprio resistendo al cliente con le mie valide argomentazioni non facevo che rafforzare la sua trappola, permettendogli di convincersi che neanche il più bravo dei consulenti sarebbe stato capace di risolvere il problema, e solitamente era disposto a pagare bene per questo, perché se anche non risolveva il problema, gli consentiva la convivenza col problema.
Ma cosa sarebbe accaduto se avessi smesso di resistere? Avrei rotto le regole del gioco o avrei colluso? Lo avrei veramente aiutato o lo avrei irrimediabilmente messo in crisi? E non doveva forse attraversare proprio quella crisi per risolvere il suo problema? Ma attraversare una crisi non significa fallire? Allora forse io dovevo veramente fallire col mio cliente per portarlo al successo?
L’assenza di resistenza è una pratica ben nota in Aikido, un arte marziale che cominciai a praticare da giovane, pur non credendo fino in fondo che si potesse veramente battere un avversario senza usare la forza. Anche io stavo pagando il mio maestro per aiutarmi a dimostrare che non potevo vincere.
Io peso meno di sessanta chili per un metro e settanta di altezza, questo mi ha aiutato molto nell’Aikido perché se tentavo di usare la forza non ottenevo nulla, quindi ero costretto a cercare di imparare le tecniche, ma era sempre un tentativo, non ci credevo. Un giorno il mio maestro mi portò ad un seminario del suo maestro “Tamura Nobuyoshi”, vidi un ometto della mia stessa corporatura che scagliava avversari di qualsiasi stazza e grado da un estremo all’altro del dojo, senza mostrare alcuno sforzo.
A vederlo così, sembrava una simulazione collettiva.
Avrei voluto che mi chiamasse per fargli da avversario durante le dimostrazioni delle tecniche e provare di persona quanto c’era di vero in quello che vedevo, fortunatamente ebbi questo privilegio e lo ricorderò per sempre. Non ci fu alcuna resistenza da parte sua, io ci misi tutta la poca forza che avevo, ma lui non ci mise neanche quella, respirò, si unì a me e mi fece rotolare a terra.
Oltre che aver dato un inestimabile insegnamento a me, mi aveva spiegato il mio lavoro. Dovevo unirmi al cliente e conquistare il centro.
Da allora ho avuto a che fare con tutte le categorie di persone nel mondo del lavoro: dall’Operaio al Presidente, ogni volta con ognuno di loro devo dimenticare quello che so e accettare il mio Cliente, so che non avrebbe voluto chiamarmi, io sono lì per far andare meglio le cose, ciò significa che le cose vanno male, se dimostrassi che andranno bene grazie a me, non farei altro che aumentare la sua frustrazione e sarei proprio la causa di un fallimento ancora peggiore che perdere l’azienda.
Allora mi tuffo nel suo fango, entro nell’occhio del ciclone, con grande rischio perché la mia stabilità è condizionata dal peso del cliente, che può essere molto grosso mentre io sono piccolo e, se non voglio essere trascinato via, devo sempre mantenermi al baricentro del sistema.
Occorre uno stoico e incessante allenamento all’ascolto, per raggiungere quella presenza di spirito che consente di tenere in equilibrio il sistema Consulente-Cliente fino alla fine del cammino.
In Aikido non sono stato molto diligente e non ho mai superato il primo dan, mentre ho continuato a praticare la consulenza quotidianamente e, dopo innumerevoli cadute, un giorno mi ritrovai a non cadere più, il Cliente era con me e io ero al centro.
Adesso però cominciava la parte veramente difficile: attraversare insieme l’abisso in equilibrio su una fune sospesa nel vuoto. Questa è la metafora che meglio rappresenta il mio lavoro, senza rete: o ci salviamo entrambi o cadiamo insieme; è l’unica strada, non ci sono comode scorciatoie, il Cliente da solo non non lo crede possibile, io invece so che si può, l’ho già fatto, non so se ci riuscirò anche la prossima volta, non ho garanzie, ma l’alternativa è quella di scivolare inesorabilmente, seppur lentamente, nel precipizio.
Quindi, fino a che non si presenterà una migliore alternativa, porterò i miei clienti sulla fune.