Al California Institute of Technology, tra il 1961 e il 1962, Feynman sperimentò un modo non convenzionale d’insegnamento con gli studenti del primo e secondo anno di fisica, e al termine delle lezioni ammise di non essere riuscito ad ottenere risultati migliori del solito, le performance di apprendimento sembravano non correlate a specifiche condizioni controllabili dall’insegnante.
Invece proprio il caso fece sì che Feynman insegnasse, un po’ di anni dopo, qualcosa di significativo a me.
Accadde quando, ancora al liceo, stavo seguendo un corso extracurricolare di epistemologia, al termine avvicinai l’insegnante per sottoporgli alcune domande, questi mi invitò a cercare in biblioteca “La fisica di Feynman”.
Io neanche sapevo che al mio liceo ci fosse una biblioteca, infatti era nascosta nel seminterrato, cercai lo scaffale di fisica e intravidi un gruppo di tre libri dal formato particolare.
Aprii il primo libro: la statica. Rimasi stupefatto! Trovai le stesse formule che avevo già studiato in classe, ma che solo adesso stavo comprendendo veramente, un mondo totalmente nuovo si schiudeva grazie a quelle pagine ed esclamai senza quasi accorgermene ad alta voce: “Questa è la fisica!”
Nel corso della mia carriera scolastica ho avuto due o tre esperienze del genere e complessivamente equivalgono al 90% del valore acquisito a scuola.
Feynman dice un’altra cosa interessante: la motivazione di un ricercatore non è nelle possibili applicazioni delle sue scoperte ma nell’emozione della scoperta, ossia l’apprendimento è a tutti gli effetti un atto creativo non strumentalizzabile; quando lo si vuole domare sparisce.
Anche nel collaudato processo di apprendimento comportamentale: “stimolo-risposta-rinforzo”, non possiamo determinare con certezza quale stimolo, quale risposta e quale rinforzo, faranno scaturire quale esperienza di apprendimento.
Nel mio episodio cosa ha reso possibile l’insight?
Il libro? Il professore? Le mie domande?
Probabilmente nessuna di queste cose da sola sarebbe bastata, ma la ricetta con cui si sono combinate chi avrebbe potuto progettarla?
Io credo nessuno.
Noi tre (incluso Feynman) l’abbiamo co-costruita strada facendo e non ci saremmo potuti arrivare solo attraverso un’astrazione, anche se l’astrazione era un elemento necessario e tutto il fenomeno è avvenuto nel contesto delle idee.
Infatti l’oggetto del mio apprendimento era proprio un’astrazione, solo che per apprenderla, per modificare il mio sistema di pensiero e quindi la mia epistemologia: ho domandato, ho ascoltato, ho camminato, ho cercato, ho scoperto, ho collegato; in altre parole ho inter-agito.
Insomma per imparare dobbiamo agire nelle relazioni.
Si può agire anche con la parola, si decide con la parola, ma la decisione deve essere autentica, deve esporci al rischio di cadere; cambiare veramente idea è un atto che mette in crisi la nostra esistenza.
In conclusione sto sostenendo che la scuola è un posto progettato per l’apprendimento ma buona parte del progetto non funziona, l’apprendimento avviene perché in quel posto molte persone si ritrovano ad interagire e solo grazie a pochi fortunati episodi di interazione virtuosa acquisiamo quanto di buono ci farà crescere e ci darà valore.
Il sistema scolastico è estremamente coerente e non ha bisogno di adattarsi all’ambiente, perciò i cambiamenti sono lenti.
Paradossalmente la scuola fa fatica ad apprendere, in quanto non può permettersi di mettere a rischio la propria esistenza e tendenzialmente ci educa proprio a questo spirito conservatore.
Un sistema lavorativo ha la stessa esigenza, non vuole mettere a rischio la propria esistenza, però per sopravvivere è obbligato ad adattarsi all’ambiente, interagisce con altri sistemi lavorativi, collabora, compete, negozia, deve agire, ha bisogno di apprendere e lo fa, ma per proteggersi dal rischio dell’apprendimento, ossia il cambiamento, si organizza secondo rigide strutture di controllo che dovrebbero tutelare l’identità del sistema.
Questo porta allo sviluppo di due movimenti di apprendimento: uno clandestino tra i membri del sistema e un altro istituzionale normato dai programmi di formazione.
Il primo permette l’adattamento del sistema ma, essendo destabilizzante, viene contenuto dalla dirigenza con la promozione di corsi accreditati, proprio allo scopo di conservare lo status quo.
A lungo andare però, con la progressiva sclerotizzazione burocratica, il vertice perde controllo.
Quindi cosa fa? Ristrutturazioni, fusioni, tagli.
E’ un modo per rinnovarsi e permettere l’evoluzione del sistema ma a costo di un drastico depauperamento del know-how (tipicamente vengono tagliate le risorse più costose e competenti), quindi si avvieranno grandi campagne di formazione e la ruota riprende il giro.
Se mi avete seguito fin qui sarebbe lecito domandarmi: bene, ci stai dicendo che spendiamo molte energie per girare a vuoto, ma che alternativa ci proponi?
Come sempre, vi propongo di fare un passo alla volta, riprenderemo l’argomento, nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate.
massimo@manualeoperativo.com
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